Circa un annetto fa ho preso una decisione che si sarebbe rivelata quanto mai felice: mi sono liberato della televisione. Non ho buttato l’apparecchio dalla finestra (anzi, ne ho uno gigantesco), ma ho tranciato l’antenna, e con quella ogni possibilità di lasciarmi andare a “qualcosa di poco impegnativo” tanto quanto a “qualche programma buono ogni tanto”, intollerabili falsità alle quali ci costringiamo per giustificare l’inedia catodica. Non ci sono più buoni programmi, non fanno più i bei film di una volta, eccetera. È tutto vero: niente più classici, niente film di Billy Wilder, niente Ridolini, niente W.C. Fields. E anche se i film di W.C. Fields a dire il vero in Tv già li facevano poco anche prima del degenero, niente e nessuno potrà contestare che il tracagnotto Zio Claudie (come egli stesso amava definirsi) sia stato uno degli incontrastati protagonisti della risata del secolo scorso.
William Claude Dukenfield divenne famoso in mezza America come giocoliere, con l’asso in più di riuscire a scatenare grasse risate nel pubblico: da quelle prime esibizioni nei parchi di divertimento la scalata alla fama mondiale fu rapida: dal cartellone del Folies-Bergere assieme a Charlie Chaplin, a ospite fisso nelle Ziegfeld Follies dal 1915 al 1921, poi un anno di repliche con il musical Poppy e infine, ovviamente, il cinema. L’ironia volle che nonostante la grande forza di Fields fosse la parlantina, le doti da giocoliere gli permisero di avere un discreto successo anche nell’epoca del muto. Successo che divenne stellare con l’avvento del sonoro.
E quest’uomo, che ci crediate o che vogliate schierarvi dalla parte di coloro che professano che parlasse sempre di bere per meri motivi scenici, era un alcolizzato.
Il personaggio dell’ubriacone col sigaro perennemente in bocca, a sentenziare cattiverie, fu uno dei cavalli di battaglia di Fields. Sono sue alcune delle più celebri sentenze alcoliche della storia: “è stata una donna a spingermi a bere. Non ho mai avuto l’accortezza di ringraziarla”; “non bevo mai niente di più forte del gin prima di colazione”; su su fino a vette di fine ironia come “chi è quell’idiota che ha messo del succo d’ananas nel mio succo d’ananas?”.
Fields aveva un sincero amore reverenziale per l’alcool, che riuscì abilmente a dissimulare per tutta la vita, sbiadendo abilmente il confine tra la vita reale e quella dei suoi personaggi. Ma visse senza vergogna la sua passione, e fu noto nell’ambiente hollywoodiano per non essere mai stato visto senza un drink tra le mani, e ciò nonostante mai ubriaco. Egli stesso ne cantava, tra le risate, le virtù: “faccio gargarismi col whisky diverse volte al giorno, e non prendo un raffreddore da anni”, e il ruolo determinante nella sua vita quando ormai era un saggio e burbero vecchio burlone: “non so proprio come avrei fatto senza liquori”.
Provarono una volta a chiedergli perché non bevesse mai acqua, e Bill senza indugio rispose “non vorrei che diventasse un’abitudine”. E un’altra, satireggiando sul Proibizionismo, rivelò che in quel nero periodo fu “perfino costretto a vivere per diversi giorni a cibo e acqua”.
E dire che per un intero anno smise di bere, in seguito alla morte di un amico per cirrosi epatica, ma tornò più gagliardo che mai, fino a guadagnarsi un bizzarro onore: c’è una patologia medica che porta il suo nome, la sindrome di Fields, una particolare forma di acne rosacea, la tendenza del naso degli alcolisti a diventare col tempo sculture d’arte contemporanea.
Anche per zio Bill non si contano gli aneddoti legati al bere, e non voglio qui togliervi il gusto di scoprirli tutti. Chiudo con il più celebre: sul set di un film un assistente di scena andò a sbattere contro il tavolo di Fields, facendo cadere la sua bottiglia di whisky. Con gesto felino riuscì ad evitare che cadesse a terra, ma il tappo rotolò chissà dove e non fu capace di ritrovarlo. Quando Fields tornò nel suo camerino vide la bottiglia e uscì tuonando come un leone “dov’è lo stupido scoiattolo che ha rubato il tappo al mio pranzo?!”
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