Il salone del vino e dei distillati più importante d’Italia trasuda sentori di crescita e sviluppo del settore vinicolo nonostante la crisi metta a dura prova l’intera filiera, dai produttori ai distributori fino ai consumatori finali.
L’ottimismo predomina dopo una giornata trascorsa tra le migliaia di stand di aziende agricole, consorzi e imprenditori di settore presenti, a testa alta, nella nuova edizione del Vinitaly che, come di consueto a Verona, si è svolta dall’8 al 12 aprile 2010.
Oltre 4200 espositori con un’innumerevole quantità di etichette e produzioni che rendono l’immagine del vino italiano ancora forte e competitiva in termini di quantità. Quanto alla qualità e allo stile “made in italy” del salone del 2010 non posso che elogiare l’intero Paese. Dalla Sicilia al Südtirol l’Italia, con le sue meravigliose differenze culturali, linguistiche e ideologiche, continua a conservare, innovare e proporre quella che si può definire, senza presunzione alcuna, la cultura del buon bere. Cultura con la “C” maiuscola.
Vinitaly 2010 si rivela sempre più, oltre che come evento nazionale di enologia, salone del buon gusto gastronomico, dell’intrattenimento e del design. Dalla cortesia con cui si viene accolti dagli espositori e dai sommelier all’efficacia dei prodotti proposti, dalla ricerca architettonica degli stand al “retrogusto” di mercato popolare, la fiera del vino italiano offre davvero un respiro di ottimismo che lascia sperare bene per l’economia del Paese. Non mi riferisco tanto al fatturato compromesso ormai dalla concorrenza internazionale, quanto alla capacità di potersi affermare come realtà “madre” della cultura del vino e del convivium.
C’è davvero da credere nel valore e nella cultura del vino italiano come reale strumento di distinzione ed eccellenza sul mercato internazionale, un mercato in cui possiamo ancora ritenerci “condottieri” a fianco (e sottolineo a fianco) solo dell’eterna rivale Francia un giorno, forse, nostra auspicabile alleata.